Agli inizi
del
Novecento,
in
Germania,
prese
forma
una
specifica
disciplina
nell’ambito
della
psicologia,
che
si
interessava
ai
temi
dell’esperienza
nelle
arti
visive.
Questa
era
definita
con
il
nome
di
Psicologia
della
Gestalt
e,
oltre
ad
occuparsi
in
generale
della
percezione
e
dell’esperienza
nell’arte,
ebbe
tra
i
suoi
obiettivi
quello
di
spiegare
l’empatia
provata
dal
fruitore
verso
il
prodotto
artistico,
focalizzandosi
sulla
percezione
dello
stimolo
e
sull’attività
fisiologica
del
cervello.
Sebbene
Camilla
Glorioso,
per
il
suo
progetto
Ritorno
al
desiderio,
non
si
sia
direttamente
ispirata
a
tale
disciplina,
questa
ci
può
fornire
una
chiave
di
comprensione
sul
ruolo
del
desiderio
nel
nostro
rapporto
c
on
l’opera
artistica.
Nel
suo
progetto,
infatti,
la
fotografa
elegge
come
soggetto
principale
della
sua
ricerca
proprio
tale
sentimento
e
il
suo
impatto
sulla
memoria
della
nostra
esperienza.
Partendo
con
il
chiedersi
cosa
accade
nell’incontro
intimo
tra
s
pettatore
e
opera
d’arte,
Ritorno
al
desiderio
è
la
rappresentazione
per
immagini
di
un
corteggiamento,
di
un’infatuazione
visiva
e
della
forma
del
ricordo.
Diviso
in
tre
gruppi,
nel
primo
troviamo
immagini
di
momenti
rubati
in
cui
l’opera
si
intravede,
si
mostra
e
si
nasconde
al
territorio
e
al
suo
abitante.
Subito
dopo
arriva
l’incontro
amoroso.
La
scintilla
dell’innamoramento
rappresentata
attraverso
immagini
astratte
di
porzioni
dell’opera,
frammenti
visivi
che
si
fissano
nella
mente.
Ma
cosa
resta,
all
a
fine,
di
tale
incontro
amoroso?
Per
sciogliere
tale
dubbio
la
fotografa
ha
coinvolto
il
pubblico,
a
cui
ha
chiesto
di
dare
forma
al
ricordo
del
proprio
amato
attraverso
una
pasta
modellabile
e
i
quali
risultati
sono
visibili
nel
gruppo
di
still
life.
Ciò
che
emerge
sono
delle
nuove
opere,
un
nuovo
amato
astratto
e
ideale,
un’ibrido
tra
ciò
che
si
è
visto,
sentito
o
si
spera
di
aver
visto.